Medici stranieri in Italia: tra scorciatoie legislative e il rischio di abbassare gli standard

Negli ultimi anni, il sistema sanitario italiano si è trovato di fronte a una crisi strutturale sempre più evidente: la carenza di medici, presunta, nelle strutture pubbliche. Il picco è stato raggiunto durante la pandemia. Per rispondere all’emergenza, il governo ha adottato misure straordinarie per portare medici stranieri in Italia. Quindi, in nome della necessità, hanno abbassato drasticamente le barriere di accesso per i medici extracomunitari.

Decreto-legge per fronteggiare il Covid e accogliere medici stranieri in Italia

Con l’art. 13 del Decreto-Legge n. 18/2020 e successivamente con l’art. 6-bis del Decreto-Legge n. 22/2021, si è autorizzato l’impiego nei nostri ospedali di medici stranieri con titoli ottenuti fuori dall’Unione Europea senza un riconoscimento pienamente formale, bypassando di fatto il normale iter di verifica di competenze. Nata come misura temporanea per fronteggiare il COVID-19, questa apertura è oggi diventata una prassi sempre più consolidata, con il rischio evidente di sacrificare il controllo sulla qualità delle prestazioni mediche in nome della quantità.

L’iter pre-pandemia

Prima del 2020, il percorso per i medici stranieri che volevano lavorare in Italia era molto più rigoroso, come in tutti i paesi occidentali.
Chi aveva conseguito il titolo di laurea in medicina all’estero, per poter esercitare in Italia doveva presentare domanda al Ministero dell’Università e della Ricerca o al Ministero della Salute, allegando documenti dettagliati sulla formazione svolta, con programmi, piani di studio e certificazioni ufficiali tradotte e legalizzate. A seguito della valutazione, l’autorità italiana poteva richiedere al candidato di sostenere esami integrativi nelle università italiane, spesso equivalenti al rifacimento del sesto anno di medicina o di singole materie cliniche. Inoltre, era obbligatorio superare l’Esame di Stato italiano per l’abilitazione alla professione medica, e solo dopo questo passaggio era possibile iscriversi all’Ordine dei Medici e lavorare. Un processo lungo, ma necessario per garantire la comparabilità della formazione e la sicurezza del paziente.

DL emergenza fino al 2027 per medici stranieri in Italia

Eppure, se osserviamo cosa accade nei Paesi con sistemi sanitari solidi come Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia, il contrasto è evidente. In questi Paesi, anche un medico europeo altamente qualificato deve affrontare esami complessi e selettivi per poter esercitare. Deve dimostrare un’elevata competenza clinica, superare test linguistici avanzati e spesso anche ripetere parte della formazione. La logica è chiara: la tutela della qualità e della sicurezza del paziente non può essere negoziata.

In Italia la scelta più comoda

L’Italia, invece, sembra essersi orientata su una direzione opposta. Di fronte alla scarsità di medici, si è scelto di abbassare le soglie di ingresso, piuttosto che rafforzare la programmazione sanitaria o rendere più attrattivo il sistema per i giovani medici italiani ed europei. Il risultato è che, oggi, un medico extracomunitario con un titolo non valutato secondo standard europei può lavorare negli ospedali italiani con relativa facilità, mentre un medico italiano o europeo in generale faticherebbe enormemente a esercitare la sua professione in Canada o negli USA, nonostante una formazione di alto livello.

Questa disparità dovrebbe far riflettere. Non si tratta di chiudersi al mondo, ma di pretendere per il nostro sistema sanitario la stessa serietà che altri Paesi pretendono per il loro. L’apertura indiscriminata, senza un filtro rigoroso di competenze e formazione, rischia di danneggiare proprio ciò che si vorrebbe proteggere: la salute pubblica.

Necessari criteri di qualità

Il riconoscimento dei titoli deve essere possibile, ma attraverso percorsi trasparenti, selettivi e basati su criteri di qualità, come accade nei Paesi dove il sistema sanitario è davvero rispettato e protetto. Continuare ad aprire le porte senza controllo soprattutto del mondo accademico, per tamponare una crisi, significa spostare il problema da oggi a domani. E quando in gioco c’è la vita dei pazienti, questa non è una scelta tecnica: è una responsabilità politica e morale. Fare scelte dettate dall’urgenza del momento non ha mai portato fortuna al paese Italia, forse bisognerebbe avviare un ragionamento più ampio e strutturale del sistema salute per il bene dei pazienti ma anche nel rispetto dei medici che si sono formati in Italia.

A cura di Marco Mafrici Presidente AREMIEM